Il concetto di Uncanny Valley risale al 1970 e fu introdotto da Masahiro Mori, esperto giapponese in ambito robotico che intravide un primo sensibile problema che avrebbe contrapposto gli uomini alle macchine, una barriera emozionale frutto della impersonalizzazione che quest'ultime hanno nel momento in cui voglio assomigliare ai primi, senza però esserlo davvero. Questa figura immaginaria della "valle", è dunque proprio qualcosa che separa la sfera dell'
apparentemente umano dal
completamente umano, creando così un senso di disagio di fronte a qualcosa che emana un senso di stranezza (magari non del tutto ricoducibile alla razionalità) ed evocando di conseguenza un allontanamento empatico.
La teoria dell'Uncanny Valley, sebbene nata pensando alla robotica, è una realtà che oggi si applica a tanti ambienti differenti, dai film ai videogiochi, passando anche per altre forme d'arte come la pittura. La più giovane di queste aree è certamente quella dei videogiochi, e questo non solo a causa del fatto che è giunta molto dopo gli altri "media" (mi si perdoni l'uso di questo termine per rappresentare anche le arti figurali, ma è ultile al fine del discorso), ma anche perché il problema del fotorealismo era (e lo è ancora) talmente distante che non si poteva davvero parlare di una impersonalizzazione dei personaggi rappresentati. Ora però siamo nell'era della next-gen, dove (apparentemente) sembra si sia davvero in grado di raggiungere un livello mai visto di realismo grafico. Ma si può davvero parlare di fotorealismo?
L'Uncanny Valley non è un vincolo imprescindibile, e si può superare in vari modi, ma principalmente quello più facile è di aggirarla del tutto. Un esempio lampante da questo punto di vista sono i film d'animazione come quelli della Pixar, dove non si cerca di rappresentare davvero le sembianze umane, ma anzi le si modella per ottenere qualcosa di distante, di spiritoso e caratterialmente unico e non strettamente umano. Gli eroi degli Incredibili hanno sì due braccia, due gambe e una testa, ma non cercando davvero di essere in tutto e per tutto figure complete che si possano persino confondere per reali, bensì si pongono una distanza tale che lo spettatore non deve addentrarsi nella valle arrischiandosi di non uscirne. Un esempio contrario è invece il lungometraggio tratto dal videogioco Final Fantasy, che non riesce (al di là di carenze di altro tipo) nel tentativo di far immedesimare gli spettatori nei personaggi, pur essendo quello il suo scopo dichiarato. La sensazione di distanza che si viene a creare a causa di quella somiglianza non del tutto reale e tangibile è infatti una barriera che impedisce di passare oltre la valle, ma anzi imprigiona al suo interno.
Tornando all'ambito dei videogiochi, solo ora il problema sta iniziando a diventare reale, e questo proprio a causa della crescita delle capacità grafiche e fisiche che fanno sempre più assomigliare quel "mucchio di poligoni" al di là dello schermo come qualcosa di tangibile, di "fisico" (per l'appunto). Il problema dell'Uncanny Valley ciò nonostante è ancora piuttosto distante dai videogiochi, anche da quelli che più di tutti vorrebbero avere un engine fotorealistico: la sfera emozionale che viene intoccata da questo media è infatti ancora talmente limitata che (grafica a parte) ancora non è nemmeno in vista del traguardo. Se si fa eccezione della paura, sentimento che forse è quello più facile da scatenare in uno spettatore in quanto è anche quello più primitivo e legato allo spirito di conservazione, i videogiochi sono ancora incapaci di scatenare reazioni legati ad altri sentimenti quali l'amore e la tristezza. Quante volte capita di provare un sentore di malinconia osservano un film, e quante volte capita ciò in un gioco?
L'unica software house che sinora ha tentato questa strada è stata la Quantic Dreams, autore dell'acclamatissimo Fahrenheit. Ebbene, allo scorso E3, David Cage presentò davanti agli occhi di tutti una scena (una sorta di tech demo) che riuscì in pochi minuti ad attirare l'attenzione della fiera: nella scena non c'erano effetti grafici particolari, azioni degne di uno stuntman o altre cose simili, c'era solamente una donna e un suo monologo. Un monologo che si chiudeva con le lacrime sul volto del personaggio, lacrime come mai se ne erano viste prima. Certo, era solo una tech demo, e quindi bisogna poi analizzare il fenomeno cercando di capire se funzionerebbe anche all'interno del gioco e non solo come filmato da vedere supinamente, ma le premesse sono tra le più interessanti. E' stata superata la famigerata valle? No, non ancora, ma quei pochi minuti e quella donna digitale sono forse il primo passo dentro la valle stessa in un mondo di videogiochi che tende invece a muoversi parallelamente ad essa (forse proprio per paura di doverla affrontare). Basti infatti pensare alla grafica next-gen, spesso piena di effetti blur, di HDR e tante altre cose che in sé non sono realistiche, ma anzi, frappongono tra giocatore e gioco una distanza netta e univoca: tu, giocatore, sei esterno al gioco, non ne sei davvero dentro, non ne fai davvero parte. Un po' come, appunto, nei film d'animazione della Pixar.
Se quindi questa next-gen non sta davvero affrontando questo terreno, mi chiedo quale generazione lo farà, e se quando ciò accadrà si potrà davvero parlare di una nuova generazione... perché in fondo questa non è altro che un mero miglioramento estetico di ciò che avevamo già.