Il tema della violenza nei videogiochi è davvero uno di quelli più abusati nel mondo estraneo a PC e console, un tema che spesso e volentieri viene trattato con superficialità e senza completa cognizione di causa. Non voglio però fare una filippica sulle prese più o meno politiche intorno a queste controverse vicende, bensì voglio cercare di vedere questo vasto argomento da un punto di vista diverso: quello dei videogiocatori!
Partendo dal sempre valido presupposto che un minorenne non dovrebbe mai poter giocare a certi titoli (così come non dovrebbe assistere a certi film), sono i maggiorenni, coloro che più "saggiamente" dovrebbero recepire i messaggi al di là della violenza apparente, su cui voglio concentrarmi. Recentemente ho letto una discussione circa (mi spiace dargli spazio, ma serve allo scopo della trattazione e quindi non posso farne a meno) la "censura" che ha subito
Super Columbine Massacre RPG allo
Slamdance Film Festival, manifestazione che vede protagonisti cinema e videogiochi insieme (soprattutto quelli della cosiddetta scena "indie", ovvero quella amatoriale e semi-indipendente).
Questo controverso videogioco, creato con lo sfruttatissimo RPG Maker di cui ho già parlato in passato su questo blog, non è nient'altro che un gioco di ruolo amatoriale dove si interpretano i due personaggi che si resero protagonisti, il 20 Aprile del 1998, della strage alla Columbine High School, negli USA. Un modo per trattare seriamente un evento tragico, da cui trarne un insegnamento, o un misero tentativo di farsi pubblicità attraverso un nome che tanta incredulità ancora suscita oggi, a distanza di tanti anni?
Questa credo che sia la domanda fondamentale da porsi, eppure non è quella che si pongono tutti: secondo alcuni, infatti, un gioco come questo può davvero essere fonte seria di riflessione su quanto accaduto nella Jefferson County, ancor più di un film o di uno scritto. Tralasciando che anche questi due media spesso e volentieri non sono garanzia di serietà, vien da pensare che un videogioco non sia esattamente la scelta giusta, in quanto non solo fa rivivere quelle drammatiche vicende, ma pone anche lo spettatore nel ruolo vivo e palpante di quei due ragazzi, divertendo quest'ultimo nel ricreare tutto quanto accaduto. E' questo stesso concetto di divertimento, insito nei videogiochi, che non può essere (ancora, perlomeno) un modo serio per trattare argomenti di tale portata. Oltretutto in questo modo non si da la possibilità allo spettatore di scegliere da quale parte porsi, come invece accade in un film o in un libro, ma lo obbliga a una scelta sola (quella degli autori) che non lascia liberà di cognizione.
Se si guarda al passato, inoltre, si vede come ogni movimento fatto in questa direzione non è stata altro che un mero tentativo di attirare attenzione su un prodotto che di per sé era non solo superficiale, ma persino incoerente e incompleto. Basti pensare a nomi come Hooligans e Postal, nomi che ora sono sulle labbra di molte persone, senza però averne avuto un vero merito. Ciò che si rammenta di questi titoli non è infatti la giocabilità, la grafica o quant'altro... ma la violenza. Una violenza fine a sé stessa, priva di riflessione, priva di spunti da cui trarre un qualsiasi insegnamento. Una violenza atta solo ad attirare attenzione sul proprio prodotto, per farlo uscire da quel purgatorio in cui altrimenti sarebbe rimasto per sempre. E' così che un gioco insignificante può diventare tutto a un tratto famoso e discusso in tutto il mondo o quasi.
Che si parli male di me, purché si parli di me. - Winston Churchill
Non posso fare altro che pensare che Churchill con quella frase avesse evidenziato un concetto tanto semplice quanto elementare, e il tutto si applica (quasi drammaticamente) anche a questi videogiochi: ogni critica, ogni attacco alla loro violenza non è infatti altro che un modo per farne parlare. In nessun altro caso oggi Hooligans verrebbe ricordato, eppure la violenza ingiustificata che contraddistingueva lo ha reso quel che è oggi: conosciuto, se non persino famoso.
E' qui che mi chiedo come mai non si riesca sempre a vedere oltre questa violenza e giudicare un gioco per quel che è, ovvero un mezzo immaturo per cercare di trattare argomenti come quello della Columbine High School, un mezzo che viene troppo spesso sfruttato "violentemente" (questa volta sì) per raggiungere fini ben distanti dalla riflessione.
Super Columbine Massacre RPG è questo: un gioco superficiale creato con un tool amatoriale, un gioco di cui nessuno avrebbe mai sentito parlare. Eppure, oggi, grazie al tema da lui trattato, è stato censurato e in vari si domandano quale ne sia stato il motivo: alcuni intravedendo un ennesimo tentativo di "violenza governativa", altri vedendo chiaramente l'evento per ciò che è... ovvero una manovra commerciale.
Forse il problema legato alla violenza nei videogiochi non è solo tale a causa della superficialità con cui viene trattato da politici e "letterati" (concedetemi il termine e cercate di capire cosa intendo veramente), ma è anche legato ai giocatori stessi, che spesso mancano di autocoscienza sopravalutando il ruolo dei videogiochi (non escludendo, chiaramente, che un futuro anche quest'ultimi possano raggiungere livelli che oggi possiedono altri media... in fondo anche il cinema, da semplice strumento di svago è divenuto quel che è oggi).
Non sto comunque sostenendo che un gioco debba essere privo di violenza: Doom, tanto per fare un nome noto a tutti, ne è pienamente caratterizzato eppure non credo affatto che sia affiancabile ai giochi citati sopra. La sua violenza è infatti finalizzata al divertimento puro ed è parte stessa del gioco, una violenza che non vuole cercare legami con fatti realmente accaduti, ma che semplicemente si pone sul piano al quale i videogiochi sono strettamente legati... quello ludico. E' proprio questa base (composta da gameplay, interattività, ecc...) che ne fa un gioco meritevole di essere ricordato, una base che invece Super Columbine Massacre RPG non possiede e, anzi, banalizza.
Il media videoludico non è ancora maturo, ma ha la potenzialità per farlo... deve solo trovare la strada giusta. O, forse, la devono trovare i giocatori, prima ancora dei giochi.