Diario di un traduttore
[Pensieri, riflessioni, ossessioni e sogni di un giocatore alle prese con la lingua inglese]

Questo blog si è trasferito su diariotraduttore.com!!

lunedì 27 febbraio 2006

Torino 2006

Scenario: Torino, anno 2006. Cielo coperto.
Clima: Temperatura nella media stagionale.
Protagonisti: Un gruppo di amici.
Ora del giorno: Sera e notte inoltrata.
Sceneggiatura: A Torino si preparano i festeggiamenti per la fine dei giochi olimpici invernali di febbraio 2006. Migliaia di persone animano questo scenario come un fiume in piena e instancabile, dal tardo pomeriggio alle prime ore del mattino. Ogni angolo di strada si trasforma in un'ordalia di colori, suoni e odori da ogni parte del mondo, quasi che Torino stessa ne fosse per una notte al centro; una città diversa dal solito, addirittura risplendente nella sua pulizia, nella sua cura per dettagli apparentemente insignificanti, ma fondamentali per trasformarla in quella città gioiosa e festosa che in questo momento è. Ogni particolare è parte dell'insieme, ognuno indispensabile componente di un puzzle che si tiene insieme senza bisogno di ulteriori sostegni.
I nostri protagonisti si muovono in questo scenario animato, da piazza San Carlo al lungo Po', passando per piazza Castello e molte altre vie più o meno aperte. Il loro pellegrinaggio è costellato di giocolieri, bande musicali, un villaggio dove poter provare con mano alcuni di quegli sport che tanto fanno parlare alle olimpiadi, e mille altre emozioni che non si possono raccontare con parole.

Torino 2006

Ogni loro passo in questa atmosfera riserva emozioni uniche come quella di condividere tutto questo insieme ad altre migliaia di individui, tutti partecipanti a un evento, non unico, ma non per questo meno meraviglioso e grandioso.
I ragazzi, aggirandosi in questo scenario, provano con curiosità cosa significa toccare con mano una mazza da hockey e vedono con i loro occhi una gara di curling, sport alquanto bizzarro ma non per questo meno nobile di altri (sebbene molto bistrattato). Ma la notte è giovane, e questo è solo un inizio di qualcosa che si concluderà solo molte ore più tardi, quando i protagonisti, stremati da quasi otto ore di cammino, si ritireranno a casa per un meritato riposo.
Ma i ricordi di quella serata li accompagneranno piacevolmente anche i giorni seguenti, quando (in università o al lavoro) avranno un attimo per svagarsi e dimenticare i problemi di tutti i giorni.

domenica 26 febbraio 2006

G.I.T. Reborn

E finalmente ci siamo! Eccoci qui, con un nuovo, ma vecchio Game Italian Translation, un gruppo forte, rinato dopo alcuni mesi di assenza ma con lo stesso identico spirito che lo ha sempre guidato lungo gli oltre tre anni della sua vita.
Ma a che scopo un G.I.T. Reborn? La risposta a questa domanda era la risposta a una domanda che mi stavo facendo da un po' di tempo, una domanda che è nata nel corso di quest'inverno quando ho temuto che tutto questo sarebbe potuto prematuramente finire (come da mio post del 9 gennaio). Sentivo che per andare avanti sarebbe stato necessario fare un piccolo cambiamento, pur mantenendo intatto tutto il resto: questo cambiamento consisteva semplicemente nel chiudere questi tre anni di G.I.T. (con un bilancio che reputo tutto sommato ampiamente positivo) e aprire un nuovo periodo dove si potesse tenere più facilmente sotto controllo il progresso delle traduzioni. Ciò a cui pensavo era un gruppo meno numeroso e meno ambizioso, che parlasse meno di prima (le news) e si concentrasse più sulla passione per le traduzioni: le tante persone che prima passavano nel gruppo (tutti partecipandovi) richiedevano infatti una coordinazione che nell'ultimo periodo si era fatta troppo pressante e pesante, e per il sottoscritto questa pressione poi ricadeva su tutto il resto delle mie attività, ritardando release e beta test quasi all'infinito, mese dopo mese.

Il nuovo logo del G.I.T.

E' con questi pensieri in mente che (ormai oltre un mese fa) io, Krenim, Spider_83, Bibbo e Turisasà ci siamo sentiti per decidere che sarebbe valsa la pena di far risorgere il gruppo da quell'oblio dove era precipitato, cercando di ritrovare la nostra passione mai scordata.

Sono certo che tutti noi ci siamo accostati al gruppo per una vera passione per le traduzioni, per quella sfida che ti lanciano ogni volta che le affronti e superi i problemi che incontri, per quella gioia che provi quando riesci finalmente a giocare al tuo gioco preferito nella bellissima lingua di Dante!
E allora perché no, facciamo piazza pulita di ciò che è superfluo e che ormai ci occupava troppo tempo e ricominciamo dall'essenziale... manipolare file, tradurre, fare beta testing per poter arrivare a un "prodotto" di alto livello. - Francesco "Spider_83" Gaviraghi

Eccolo lo spirito del nuovo G.I.T., eccone i suoi "nuovi" membri! Ed ecco il nuovo sito, a rappresentarne la rinascita, un sito studiato per colmare tutte le lacune del suo predecessore. Ma di questo preferisco parlarne tra qualche giorno, perché alcuni particolari devono ancora essere completati a dovere per poter dire che "sì, ora è tutto concluso".
L'importante comunque è che noi ci siamo ancora, oggi come tre anni fa.

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domenica 19 febbraio 2006

Oggettivamente ho ragione

Vi è mai capitato di discutere su un forum di un qualsiasi argomento e sentirvi rispondere "oggettivamente è così"? A me sì, ed è una cosa che non riesco a concepire, sinceramente. E' chiaro che a questo mondo ci siano cose oggettive (il cavallo bianco di Napoleone era oggettivamente bianco... o almeno così sostiene il famoso detto), ma su alcuni argomenti non si può sostenere che una realtà domini completamente su un'altra.
In particolare mi sto riferendo a una discussione che ho avuto su un forum circa il concetto di "comodità" di un dato oggetto: mentre l'ergonomicità può essere considerato come valore assoluto rispetto ai canoni attuali, la comodità non ritengo che possa essere inserita in rigide valutazioni universali.
Non è comunque la prima volta che mi capita di leggere posizioni come questa, ma credo che per un forum (dove l'unico scopo è quello di comunicare) significhi la fine di ogni discussione e l'inizio dei famigerati "flame", a cui peraltro di tanto in tanto non riesco a sottrarmi (è più forte di me). Ma perché sostenere che un proprio pensiero, una propria opinione, sia "oggettivo"?
Da sempre forum significa "luogo di scambio di idee", ma anche "luogo di scontro di opinioni": mentre nella realtà trovandoci davanti a una persona potremmo usare varie strategie per cercare di convincere il nostro interlocutore, su un forum spesso si cercano altri modi per chiudere la conversazione a proprio favore, come appunto quello di sostenere che il proprio pensiero sia oggettivo, e pertanto innegabile. Il fatto poi di avere un certo anonimato, permette anche di poter manterene un "tono" che magari di fronte a una persona non terremmo per rispetto ed educazione. Su un forum ci si trasforma, quindi? No, restiamo noi stessi, ma con meno limiti comportamentali.
Personalmente non credo di aver mai fatto uso dell'oggettività come "arma" a mio favore per dimostrare che una mia data tesi era corretta, perché allora non scriverei su un forum per confrontarmi con altri, ma scriverei per conto mio. Mi piace invece scrivere frasi come "secondo me" o "è mia opinione che" (altrimenti abbreviate col famoso "IMHO", dall'inglese "In My Humble Opinion") per poter dar luogo a una discussione, piuttosto che a un soliloquio. Per quest'ultimi in fondo basta già il blog!
E poi lo dicevano persino i latini: "de gustibus non disputandum est"! :-)

venerdì 17 febbraio 2006

Reborn time

I traduttori sono simili a zelanti mediatori che esaltano i pregi di una bella donna mezzo velata: fanno nascere l'impulso irresistibile di conoscere l'originale. - Johann Wolfgang Goethe

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giovedì 16 febbraio 2006

Scontri generazionali

Recentemente mi è capitato su un forum di discutere circa la recente notizia della "svendita" di Lionhead Studios, autori di vari giochi belli e originali e guidati dal genio di Peter Molineux, storico protagonista di capolavori del calibro di Theme Park fin dai gloriosi anni '80. Ebbene, questo team pare che stia affrontando un brutto periodo finanziario, e che potrebbe presto essere messo in vendita (qualcuno sostiene che l'acquirente possa essere Microsoft... chissà). E' sempre triste sentire notizie simili, ma questa volta a parer mio lo è ancora piu' del solito.
Il motivo è il disinteressamento dei videogiocatori o, peggio, delle tante critiche mosse alle strategie di Molineux e soci per aver provato a percorrere strade differenti dal solito. La ricerca di originalità è qualcosa che al mondo d'oggi è infatti allo stesso tempo dovere e onere: mentre una parte dei giocatori chiede alle software house di intraprendere scelte coraggiose che possano portare alla nascita di nuovi generi oggi non esistenti, dall'altra premiano proprio quei titoli che della tradizionalità fanno la loro arma migliore.
E' così che un FIFA qualunque venderà sempre meglio di un Fable, nonostante il primo venga sempre aspramente criticato per la sua staticità anno dopo anno, mentre il secondo ha cercato di innovare i giochi di ruolo per computer. Personalmente credo che ciò sia dovuto a due fattori: 1) nonostante la costante voglia di nuovo, la sicurezza di qualcosa che si conosce già è preferibile per la maggior parte delle persone, 2) le aspettative nel caso di qualcosa di nuovo sono talmente alte che raramente possono essere rispettate.
Continuando sul paragone fatto sopra, un FIFA non genera molte aspettative sui giocatori, e quindi difficilmente può deludere gli acquirenti. Fable, al contrario, aveva generato intorno a sé fantasie di vario tipo su come sarebbe stato, finendo inevitabilmente per deludere chi si aspettava tanto. Ma il valore del gioco in sé? Fable vale davvero meno di un FIFA in quanto a game design?

Lionhead Studios

In seguito a queste considerazioni nasce comunque una domanda: come è possibile che un gioco tanto criticato come FIFA venda tanto? A leggere sui forum tutto si divide nell'eterna lotta tra bianco e nero, hardcore-gamer e casual-gamer.
I giocatori hardcore sono quelli esperti, quelli che giocano da anni e conoscono a memoria tutti i nomi dei giochi usciti avendone giocati il 50% almeno (quasi mai completandoli): sono i cosiddetti "baroni" dei forum. I giocatori casual sono invece i tanto vituperati "niubbi", coloro che non ne capiscono quasi niente perché giocano solo 1 o 2 titoli al mese, che non hanno conoscenze storiche del mercato come gli altri. Naturalmente a detta di molti è quest'ultima categoria a rovinare il mercato a causa della loro scarsa conoscenza e quindi della loro incapacità a riconoscere i veri capolavori! Ma ne siamo sicuri?
Secondo me è proprio l'opposto, e ho maturato questa convinzione dopo aver letto hardcore-gamer scatenarsi contro i Lionhead Studios a causa delle loro coraggiose scelte. E' proprio sui forum che i loro giochi sono stati più aspramente criticati, mentre le riviste del settore evidenziavano come, nonostante alcune aspettative fossero state deluse, il loro valore era ugualmente alto. Sono quindi stati anche quegli hardcore-gamer che in gran parte hanno riufiutato queste ventate di novità, a decretarne il parziale fallimento.
La vita dei game designer non deve essere facile: da una parte ripetere un gioco come tanti altri già presenti sul mercato può essere pericoloso (soprattutto se non si dispone di un gran nome come EA Games), ma percorrere strade nuove può rivelarsi un'arma a doppio taglio, lasciando tutti (o quasi) insoddisfatti. Probabilmente il giusto equilibrio sta nel mezzo come sempre, dando così al videogiocatore qualcosa di familiare in cui ritrovarsi senza smarrirsi, ma al tempo stesso dandogli emozioni nuove che gli facciano percepire il gioco come qualcosa di unico (sebbene non lo sia veramente). Il tutto senza creare troppo hype, perché altrimenti si cade nella delusione per ciò che "sarebbe potuto essere, ma non è".
In bocca al lupo per il vostro futuro, Lionhead Studios!

lunedì 13 febbraio 2006

Reborn genesis

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco." Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra." Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro." Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. - Genesi, 11, 1 - 11, 9

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venerdì 10 febbraio 2006

L'oasi irraggiungibile

Può una traduzione essere perfetta? L'ovvia risposta è no, non esiste nulla di assolutamente perfetto, sia che si tratti di una traduzione, sia che si tratti di qualcosa di differente. La perfezione è solo qualcosa che possiamo ambire a raggiungere, traguardo infinito che costantemente possiamo vedere, ma mai raggiungere quasi che fosse un miraggio in un deserto assolato. Così il traduttore, come molti altri nelle blandi vesti dell'assetato, è alla ricerca continua di un'oasi che segnali chiaramente il raggiungimento di questo suo obiettivo.
Come ho scritto sopra, la perfezione non esiste: ma allora, cosa cerca il nostro eroe? La soluzione migliore possibile data dal confronto con gli altri traduttori e dall'esperienza. L'ago della bilancia della propria abilità diventa così fondamentale per capire se il percorso che si sta affrontando è correttamente direzionato verso l'oasi, l'obiettivo finale. Il confronto può però diventare un ostacolo.
Il confronto può portare a distogliere infatti l'attenzione del traduttore dal suo vero lavoro, dal suo scopo finale di traghettare un contesto da una lingua a un'altra, azione che (come anche Umberto Eco sottolinea con la frase che ho riportato qui un paio di giorni fa) implicitamente significa sacrificare qualcosa per ottenere qualcos'altro, ovvero il mantenimento dello spirito del testo originale, con le sue immagini evocative e i suoi significati (così come ci ha insegnato Foscolo). Tradurre avendo come scopo quello di superare indenni (se non vincitori) il confronto con altri esperti, può quindi anche rivelarsi uno smarrimento importante e la conseguente perdita di vista dell'oasi.

L'oasi irraggiungibile

Queste convinzioni le ho personalmente maturate nell'arco di tre anni di G.I.T., con le sue mille sfacettature e i suoi mille volti diversi, ma più di tutto ho coltivato questi pensieri negli ultimi tre mesi, in ritiro dalla scena. Non sentendo più parlare di traduzioni, dei loro problemi, ma soprattutto non avendo più confronti diretti sulla qualità di una traduzione, ho iniziato a pensare che il semplice concetto di tradurre per ottenere il risultato stilisticamente migliore era sbagliato sin dalla radice. L'oasi non si raggiunge con un italiano assolutamente privo di difetti o una trasposizione esatta di una frase, ma con la trasformazione di questa frase sin a rendere lo stesso identico concetto in una forma diversa.
"Reborn" e "Waiting reborn" sono parole che sono apparse su questo blog ultimamente a rappresentare qualcosa, qualcosa che voglio cercare di esplicare non con parole mie, ma con citazioni che facciano capire due concetti soli: "rinascita" e "traduzione". Cosa indicano veramente non ha ora importanza (lo si saprà a breve), ma ciò che importa è che volevo comunicare due concetti con una sola parola, che fosse chiara e trasparente nel suo significato.
Qualcuno mi ha fatto notare che è un inglese "maccheronico", stilisticamente non perfetto sebbene non errato. E' vero, ma la forza insita in questa parola e in queste frasi è talmente ovvia che l'obiettivo per cui è stata "creata" è ampiamente raggiunto. Lo scopo non è quindi di mostrare una perfezione stilistica per vantaggiare un futuro confronto, ma quello semplice di raggiungere una comunicazione più ampia possibile.
Se devo tradurre ancora, desidero che le mie traduzioni siano così: imperfette nella forma, ma trasparenti nel significato.

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mercoledì 8 febbraio 2006

Waiting reborn

La traduzione si fonda su alcuni processi di negoziazione, la negoziazione essendo un processo in base al quale, per ottenere quella cosa, si rinuncia a qualcosa d'altro. - Umberto Eco

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mercoledì 1 febbraio 2006

Google Story

Non è un segreto che sono un grande "fan" (se così si può dire) di Google e delle sue tecnologie, non tanto per la loro natura gratuita, ma quanto per l'innovazione che questa società riesce ancora a introdurre in un mondo (quello dell'informatica) che spesso tende a vivere di rendita su ciò che già esiste ed è ben collaudato.
Nel mio lavoro (di programmatore) mi capita molto di raro vedere vere e proprie sperimentazioni in campi nuovi o vecchi che siano, e questo perché la strada della ricerca è sempre irta di pericoli e insidie (quanto è difficile? quanto può costare? quanto può rendere?)... tutti discorsi che spesso tendono a portare a ragionamenti del tipo "miglioriamo o sfruttiamo ciò che c'è già", piuttosto che "inventiamo qualcosa di nuovo".
Google non finisce invece di stupirmi, perché riesce a dominare in campi anche diversi da quello della pura ricerca (dove comunque domina su ogni altro motore di ricerca attualmente esistente): un esempio può essere Google Earth, che per primo ha offerto la possibilità di vedere il nostro pianeta in tre dimensioni e con una mappatura satellitare molto precisa (anche se ancora da completare). Un altro esempio è invece Gmail, dove la "grande G" è riuscita a introdurre un cambiamento sensibile in un campo fermo da troppo tempo, sia in termini di dimensioni, sia in termini di funzionalità, come il raggruppamento delle e-mail in discussioni quasi si trattasse di un forum.
Altri esempi? Picasa, Blogger (con cui gestisco questo blog), Google Desktop e molti altri ancora: alcuni migliorano quanto esisteva già, altri introducono vere e proprie innovazioni, altri fanno sia la prima che la seconda cosa.

Google Story

L'insieme di tutte queste caratteristiche mi ha sempre portato a pensare a Google come a una realtà molto interessante, su cui avrei voluto saperne di più. Proprio per caso (in un sabato in giro con alcuni amici) sono incappato in un Autogrill in un libro che non ho potuto fare a meno di prendere e iniziare a leggere (chiamatela "deformazione professionale"): Google Story!
Google Story narra le vicende che Sergey Brin e Larry Page hanno vissuto dai loro anni di università, quando erano "solo" due studenti che volevano rivoluzionare il mondo di internet, a oggi, quando la loro società ha un valore di mercato più alto di Ford e General Motors messe assieme. Il libro è scritto abbastanza bene, senza annoiare e senza far perdere il filo del discorso al lettore e, anche se di tanto in tanto finisce per ripetersi su concetti come l'importanza che oggi riveste il motore di ricerca di Google, racconta bene gli eventi di quegli anni di fine millennio scorso (son già passati sei anni?).
Purtroppo dal punto di vista tecnico non vengono fornite molte informazioni sul PageRank (l'algoritmo matematico che sta alla base del successo di Brin e Page), e anzi tutto si mantiene sul generico. In qualità di programmatore mi sarebbe piaciuto conoscere ogni particolare, ma da lettore posso capire che ciò sarebbe stato fuori luogo in un libro narrativo come questo (senza contare che, molto probabilmente, i "Google Guys" sono gelosi dei segreti della loro innovazione, che altrimenti non sarebbe più così unica).
Sinceramente è un libro che consiglio a chi pensa che l'informatica sia un mondo che può ancora regalare molto sorprese e che l'era "pioneristica" non si è affatto conclusa negli anni '80 e '90.